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La Francigena e il Cammino italiano


II Cammino italiano nel Medioevo

Quale sia stata la configurazione, fra l'Alto Medioevo e la fine dell'Età Moderna, di quell’ itinerario che nel 1985 Paolo G. Caucci von Saucken ha definito come <<Cammino italiano di Santiago>>, è ormai noto. Grazie soprattutto agli studi e alle edizioni di testi pubblicati in Italia nell'ultimo trentennio è ora possibile ricostruire le tappe principali di questo tracciato e, in buona parte, anche il reticolo delle altre vie in esso confluenti. Le strade consolari romane (la Cassia, I'Aurelia, I'Emilia ed altre minori) ne sono state costantemente l'ossatura ed il più importante elemento di riferimento. Le varianti ed i segmenti di congiunzione sono stati il risultato dell'assetto politico-sociale, idro-geologico e demografico durante i secoli. Lo stesso delinearsi del tratto toscano-laziale come asse longitudinale primario di questo <<Cammino>>non è che il prodotto di una storia plurisecolare, in cui ebbe importanza crescente Roma, come centro della cristianità e sede del papato, nuovo polo sorto con vigore dalle rovine dell'antica capitale dell'Impero romano.

L'itinerario italiano si collegava principalmente, nel Medioevo, con la quarta delle vie francesi del pellegrinaggio compostellano già in essere nel secolo XII, e precisamente con quella più meridionale, detta Via Tolosana. Pertanto, per chi risaliva la penisola diretto verso il santuario compostellano, tale itinerario assumeva il nome di Via Francigena.

Secondo Caucci von Saucken, che peraltro utilizza di necessità, per la ricostruzione del tracciato principale da Roma fino alla Provenza e all’inizio della Via Tolosana, fonti piuttosto tardive, quali itinerari e diari di viaggio per la maggior parte compresi fra XIV e XVII secolo, le tappe più importanti di questo <<Cammino>> jacopeo erano, dopo Roma e in direzione Nord: Sutri, Viterbo, Radicofani, Siena, Fucecchio, Altopascio, Lucca, Sarzana, il passo della Cisa (l'altomedievale Monte Bardone), Parma e/o Fidenza (Borgo San Donnino), Piacenza, Alessandria, Torino, Susa, il passo alpino del Monginevro, Briançon, Gap, Sisteron, Aix-en-Provence (sostituita da Avignone a partire dal Trecento).

Fra Piacenza e Roma, tuttavia questo itinerario non faceva che ripercorrere quello più antico della Via Romea, assestatosi durante il periodo della dominazione longobarda, fra VII e VIII secolo. Quali ne fossero il tracciato e le tappe documenta con precisione il viaggio compiuto, di ritorno da Roma, dall'arcivescovo sassone Sigerico, che nel 990 era partito da Canterbury per ricevere dal pontefice I'investitura ufficiale della sua carica, con il conferimento del pallio.

Il viaggio, ricostruito (curiosamente alla rovescia, da Nord a Sud) da Giovanni Caselli nel 1990, è stato anche studiato, per il solo tratto toscano a Sud dell'Arno, da Renato Stopani fra il 1984 e il 1985.

Rispetto al <<Cammino>> jacopeo delineato da Caucci von Saucken, il tracciato percorso da Sigerico era di poco differente. Da Roma a Siena se ne discostava per un breve tratto, con la tappa di San Piero in Paglia, invece di quella di Radicofani. Fra Siena e l'attraversamento dell'Arno, nel punto chiamato Arne Blanca, l’itinerario invece divergeva rispetto a quello che si sarebbe imposto nel tardo XII secolo, che passava dalla Val d'Elsa.

Sigerico si mosse per vie che correvano più ad Ovest, si fermò in piccoli nuclei abitati formatisi attorno a chiese e pievi, in una zona dove attualmente restano solo deboli racce dell'antica rete di collegamento. Qui è rimasta San Gimignano, ricca di ospizi e di chiese di pellegrinaggio, ma è scomparsa fin dal secolo XIII San Genesio , che un tempo sorgeva presso San Miniato.

Passato l’Arno, il cammino volgeva a Nord, fino a Piacenza e all'attraversamento del Po, con le tappe consuete. Di là il prelato sassone si era diretto a Pavia, poi a Vercelli e Ivrea, aveva percorso la Val d'Aosta ed aveva passato le Alpi dal valico del Gran San Bernardo.

Là, anche secoli più tardi, confluiva il traffico dei viaggiatori provenienti dall'Italia e dai paesi dell'Est, diretti verso i territori elvetici e tedeschi. Dal passo, peraltro, continuavano a scendere i pellegrini dell'Europa centrale, diretti a Roma.

 

 

 

Il Cammino, la Via Romea e l’iter Gerosolimitanum

Ma il <<Cammino italiano di Santiago>> non era, a ben guardare, che la stessa Via Romea cambiata di <<segno>> e di direzione: la Via Romea con tutto il sistema di strade in essa affluenti, nate nell'Alto Medioevo sull'antica struttura viaria romana. Quest'ultima, come è noto, era sorta per collegare più facilmente le zone più lontane alla capitale amministrativa dell'Impero. Un potere centrale aveva <<pensato>> l’intero reticolo degli itinerari principali come una struttura interconnessa. <<Tutte le strade portano a Rom>>, recita un detto tradizionale, conservatosi fino ad oggi. Nulla di più vero, per l’argomento che ci riguarda. Il pellegrinaggio a Santiago de Compostela, che fu l'ultimo in ordine di tempo dei grandi pellegrinaggi occidentali, dopo Gerusalemme e Roma, e s'impose in Italia fra il tardo secolo XI e il XII, fu possibile grazie ad un sistema viario anticamente pensato con un proprio centro; Roma, appunto.

Il <<Cammino italiano di Santiago>>, nella sua concretezza antropologica e topografica, non è che un flusso di pellegrini che trascorrono, su antiche strade, in senso opposto a quello originario, in senso centrifugo invece che centripeto. La Via Romea diviene Francigena quando la polarità s'inverte. Non è una questione banale di andata-ritorno. Vi è invece presupposto e implicito un problema storico, di cultura e di comportamenti.

Fin dall'època paleocristiana i fedeli che volevano andare in pellegrinaggio a Gerusalemme passavano generalmente anche per Roma. Un medesimo cammino collegava i due grandi centri della spiritualità cristiana, senza contrasti. Si andava verso Sud, ci si imbarcava in uno dei porti d'Italia per poi circolare, andando da Est verso Ovest, lungo le coste del Mediterraneo.

Il pellegrinaggio a Santiago de Compostela segue invece, rispetto a Roma, un cammino divergente. Chi voleva andare al grande santuario gagliego, <<in finibus terrae>>, non trovava Roma sul suo cammino, a meno che non provenisse dall'Italia meridionale. Per comprendere Roma nel pellegrinaggio compostellano come aveva fatto nel 1550 Bartolomeo Fontana, partendo da Venezia, bisognava programmarlo apposta.

Ma, come l’iter Gerosolimitanum, anche per andare a Santiago si percorreva la direzione da Est ad Ovest. Il parallelismo era evidente. Un'immagine, di grande impatto emotivo, fu usata per sacralizzare questa sorta di percorso iniziatico verso la santità, assai per tempo. Nel quarto libro del Codex Calixtinus, redatta nella prima metà dei secolo XII, del cosiddetto Liber Sancti Jacobi, testo principe d'appoggio del culto e del pellegrinaggio jacopei (l'immagine dell' iter stellarum, la Via Lattea, sognata dall'imperatore Carlo Magno come incitamento eroico alla Reconquista, ha il compito di fissare nella memoria di ogni pellegrino questo percorso che unifica Oriente ed Occidente, che è anche itinerario interiore di ascesi pugnace contro il peccato, sempre risorgente e in agguato lungo le strade del mondo.

Il «Cammino di stelle» è metafora del Camino de Santiago nella sua interezza. Guidati da Carlo imperatore, che ha il compito di sgombrare il Cammino e di renderlo sicuro, i pellegrini che percorrono l’itinerario santo si configurano come in una processione sacramentale infinita. <<Dopo di te, rivela a Carlo Magno San Giacomo, apparso in sogno, tutti i popoli, da mare a mare peregrinando, andranno là per chiedere perdono al Signore delle loro colpe, narrando le lodi del Signore e le sue virtù e i miracoli che egli ha fatto. Essi andranno, dai tempo della tua vita fino alla fine del mondo».

Questa visione totalizzante del pellegrinaggio (di ogni pellegrinaggio, in definitiva) come pellegrinaggio a Santiago de Compostela, stabiliva precocemente una sorta di circolarità del medesimo, in cui erano compresi i celebri santuari d'Europa e del Medio Oriente, ma arche Roma.

Roma viene a farne parte, come trascinata per una forza di attrazione ideologica. Il Camino de Santiago, come insieme di tutti i cammini d'Europa che portano agli estremi confini d'Occidente, verso la tomba dell'Apostolo, inverte di fatto I'antica polarità del centralismo di Roma. Roma non può mancare nel pellegrinaggio europeo. Ma, almeno per I'Italia, questo porta ad una inversione del senso di marcia: si risale da Sud verso Nord, si passa dalla capitale della cristianità per venerare i corpi santi e per prepararsi al lungo cammino verso altri luoghi di culto, fino a Santiago. In quest'ottica (che è vera e propria prospettiva mentale alternativa) l’intera rete itineraria, ripensata sub specie peregrinationis, si rovescia aprendosi all'Europa.

 

 

La rete degli itinerari europei, metafore dell’unità della respublica christiana

La strada non è soltanto un mezzo di comunicazione concreto.

Esiste, parallela alla sua funzione oggettiva, una concezione della strada, che le attribuisce un ruolo, un'importanza. La strada è, nel suo significato, metafora d'altro… E allora, precisamente, il problema è questo; qual' è l'origine di questa rivoluzione concettuale, diffusa capillarmente e vissuta, anno dopo anno, secolo dopo secolo dai pellegrini d'Europa?

E quali i modi e i tempi di attuazione di questi nuovi orientamenti, quali i protagonisti che li fecero propri e li diffusero capillarmente fra la gente, munendo i punti di raccordo e di tappa di <<segni>> eloquenti che sottolineavano e perpetuavano questa “koinonìa”, questo senso di globale appartenenza ad un medesimo mondo di valori, dove tutto era simbolicamente e misteriosamente racchiuso nel tutto?. Si apre, al ricercatore, la sterminata prospettiva dell’indagine nel tessuto, affascinante, delle varie storie locali.

Non fu Roma, tuttavia, a “pensare” in questo modo le vie di pellegrinaggio. Il pensiero globale fu formulato a Compostela. Un solo uomo ne fu, io credo, l'artefice: I'arcivescovo Diego Gelmirez. Egli non fece che attuare e dare forza ad un'idea che era anche propria al clero occidentale: che una sola era la repùblica christiana.

Quest'idea ebbe grazie a lui strumenti e mezzi per attuarsi in forme concrete, tangibili. Una penetrante strategia del “sacro” divenne suggestione, metodo, punto d'incontro, al servizio di una lungimirante capacità di visione, è certto, ma anche di una divorante passione accentratrice.

Che un nuovo polo religioso si fosse creato, lungo i secoli dell'Alto Medioevo, ed abbia avuto significato universale per l'Europa per molti altri secoli, fino ad oggi, è di rilevante importanza proprio per lo studio e l’individuazione degli itinerari di pellegrinaggio.

Per I'Italia, come si è detto, questo fece sì che l’itinerario verso Roma non fosse più concepito come unico e polarizzante. Roma divenne punto di arrivo ma anche punto di partenza. Non a caso Paolo Caucci von Saucken fa iniziare da Roma (e non da San Nicola di Bari, come era già presupposto, nella prima metà del secolo XII, nell'ambiente compostellano) il “Cammino italiano di Santiago”.

Ma se per l'Italia questa nuova polarità all'estremo Occidente d'Europa aveva fatto cambiare di “senso” e di direzione l'antico reticolo stradale di prevalente impianto romano, tanto da riconnettersi, oltrepassate le Alpi, ad una delle quattro vie di pellegrinaggio francesi, per la Francia aveva condizionato l’intero sistema stradale: dove, appunto,elementi di determinante importanza risultano proprio le quattro vie, già perfettamente descritte nel quinto libro del Codex Calixtinus che confluiscono, restringendosi gradatamente a imbuto, fino ai passi pirenaici e fino a confluire insieme nel punto d'origine del vero e proprio Camino de Santiago in terra iberica.

La strada, è noto,la fanno costruire re e imperatori e la custodiscono monaci, almeno nel Medioevo. Le quattro strade francesi e l'unico Camino de Santiago in Spagna rivelano un pensiero globale, un significato interconnesso, progettato e attuato forse anche in lungo volger d'anni o di decenni. Da persone diverse, con intendimenti e mezzi diversi, ma tutte animate, come è evidente, da un'ideologia comune.

Per quanto riguarda l'Italia, dobbiamo chiederci se questo si è verificato, e fino a che punto, data I'estrema frammentazione politica e istituzionale della Penisola.

Può indicare una risposta a questo fenomeno complesso lo studio dei riferimenti devozionali di cui il cammino dei pellegrini era costellato. Anticipando qui quanto emergerà dall'analisi di alcuni casi significativi, credo sia possibile affermare che ogni strada battuta dai devoti in cammino da e per Roma, da e per Compostela aveva questo carattere di duplicità devozionale e culturale. Chiese, cappelle, ospizi lungo la strada portavano di volta in volta elementi di riferimento al pellegrinaggio <<romeo>> ed a quello <<jacopeo>>.

Ogni itinerario era perciò double- face, e i segni rimandavano alla Sede di Pietro e al Santo Sepolcro, ma anche ai santi titolari dei celebri santuari dell'iter compostellanum.

 

 

 

Effetti sull'urbanistica e sulla topografia delle città medievali italiane

Ma non fu un'unica mente, o un unico potere, ad attuare questa rete di significati e di immagini. Fu il potere di un'idea unificante, fatta propria e condivisa da molti, nel tempo. Si può perciò dire che, per l'Italia, fu comune la strategia del “sacro”legata al pellegrinaggio.

Non è qui possibile storicizzare e calare nel concreto delle situazioni locali ogni caso particolare. Ma credo che la semplice indicazione di qualche esempio possa offrire utili elementi di valutazione del fenomeno storico e culturale.

A Bari, città capolinea, come si è detto, del pellegrinaggio jacopeo fin dall’inizio del secolo XII almeno, la solenne chiesa romanica di San Nicola ricorda i contatti con la devozione e la spiritualità orientale cristiana. Come vedremo, il culto di questo santo è diffuso lungo gli itinerari del cammino compostellano e trova la sua esaltazione riassuntiva nella stessa basilica di Santiago, a Compostela. Ma, al termine dello slargo che si apre dinanzi alla facciata della romanica cattedrale barese, dedicata a san Sabino, si trova un oratorio intitolato a san Giacomo.

L'esempio di Bari offre l'opportunità dimettere in evidenza uno dei <<segni>> più eloquenti offerti dalle città medievali che erano in relazione col pellegrinaggio: l'ubicazione stessa delle chiese più significative rispetto al mondo dei riferimenti concettuali e religiosi di cui la devota itineranza si nutriva. Il significato emergeva proprio nel momento in cui l’impianto urbanistico era <<letto>> sub specie peregrinationis.

Chiese, oratori, ospizi, insieme con le vie di comunicazione, erano i costanti punti di riferimento dei pellegrini. Nella città le chiese soprattutto si presentavano come una costellazione suggestiva, eloquente per i rapporti reciproci fra luogo di culto e luogo di culto, e fra essi e la disposizione dell'intero abitato. Le chiese erano le sedi dei santi, da cui emanava il potere salvifico e taumaturgico del titolare e del patrono, e dove si faceva sentire I'aura attrattiva delle reliquie, splendidamente fasciate d'oro e d'argento. Le chiese designavano, in Europa, la mappa della spiritualità cristiana, per lunghi secoli.

In ogni centro quella mappa si calava nella concretezza topografica, storica e sociale e diveniva messaggio, intenzione, guida orientativa per il forestiero.

La via, al pellegrino, era indicata dall'ubicazione di quelle chiese: verso Nord-Ovest si trovavano costantemente quelle dedicate a San Giacomo e a Sant'Antonio di Vienne; verso Sud-Est quelle che alludevano a Roma e a Gerusalemme, dedicate per la maggior parte a San Pietro e al Santo Sepolcro.

In generale le posizioni relative fra i luoghi di culto rispettavano con precisione, nel Medioevo almeno, la mappa generale dei principali santuari d'Europa. Se in una città italiana vi erano due chiese, una dedicata a Sant'Antonio abate di Vienne, e l'altra a San Giacomo, quest'ultima si trovava senza fallo più ad Ovest dell'altra.

Così, a seconda della diversa posizione geografica del centro abitato rispetto a Roma, variava l'ubicazione della chiesa dedicata a San Pietro rispetto ai punti cardinali.

Quanto più ci si allontanava da San Nicola di Bari, lungo il <<Cammino italiano di Santiago>>, e anche lungo gli altri itinerari europei del pellegrinaggio compostellano, tanto più era frequente il suo richiamo, attraverso dedicazioni di chiese, cappelle, o altri luoghi di culto, oppure mediante immagini figurate di vario genere, dipinte all'interno di quegli stessi luoghi.

Si trattava di una diffusa mentalità riassuntiva, secondo la quale ogni luogo concreto della devozione era microcosmo in cui sinteticamente venivano riprodotti gli elementi essenziali del macrocosmo di riferimento.

II Codex Calixtinus testimonia che già nella prima metà del secolo XII questo modo di pensare era perfettamente formato ed era divenuto un lucido strumento di <<propaganda>> religiosa e di indirizzo concettuale.

Nella splendida, eloquente descrizione della basilica di Santiago a Compostela, che si trova nel libro quinto, si legge infatti: <<Sursum in palacio ecclesiae tria altaria solent esse, magister quorum est altare sancti Michaelis arcangeli, et aliut altare in dextrali parte, scilicet sancti Benedicti, et aliut est altare in sinistrali parte, sanctorunt scilicet Pauli apostoli et Nicholai episcopi, ubi etiam solet esse archiepiscopi capella>>. Ai due lati dell'arcangelo Michele, segno della potenza divina, stanno rispettivamente san Benedetto e san Paolo con san Nicola: gli elementi fondanti della spiritualità occidentale con quelli dell'Oriente cristiano.

Ma le posizioni reciproche riproducono esattamente la mappa della devozione nella zona d'inizio del grande Iter Compostellanum in Italia. Ponendosi nel senso opposto a chi guarda, come in antico si faceva per la determinazione della destra e della sinistra nello spazio sacro, cioè in pratica con le spalle al Nord, l'abbazia di Montecassino, primo centro della spiritualità benedettina in Europa, sta a destra rispetto al santuario di San Michele sul Monte Gargano, mente la chiesa di San Nicola a Bari (arricchita, nell'allusione compostellana, della figura ecumenica di san Paolo, legata al mondo orientale) sta a sinistra.

Tutto formava una costellazione allegorica: le stesse immagini figurative ne facevano parte integrante. Così continuò ad essere per lunghi secoli, almeno fino alla riforma tridentina.

Era un tessuto connettivo denso, nel quale gli inserti che via via si aggiungevano non negavano mai l’insieme precedente, ma piuttosto contribuivano a rinforzarlo, come un disegno molte volte ripassato. L'esemplificazione sarebbe vastissima. Tanto per limitarci alla chiesa, prima citata, di San Nicola di Bari, un dipinto rinascimentale testimonia la persistenza di questa consapevolezza di appartenere ad un solo, grande sistema di pellegrinaggio, che univa gli estremi confini italiani con quelli iberici. Nella cappella di San Martino, eretta nell'abside laterale destra, fu posta la pala, commissionata dal canonico Alvise Cancho, veneziano, dipinta nel 1.476 da Bartolomeo Vivarini con le figure dalla Madonna in trono col Bambino, attorniata dai santi Giacomo apostolo, Lodovico, Nicola e Pietro apostolo. Anche in questo caso, in modo significativo la posizione dei personaggi rispetta la disposizione dei relativi centri della mappa europea della devozione peregrinante. Stanno infatti a sinistra rispetto a chi guarda, san Giacomo e san Lodovico, a destra san Nicola e san Pietro. Pare superfluo ricordare che nel secondo decennio del Trecento san Lodovico fu nominato vescovo di Tolosa, cioè della città che dava nome alla più meridionale delle vie francesi a Santiago, quella percorsa dai pellegrini italiani.

La preoccupazione di rispettare le gerarchie da parte del committente, che aveva fornito, come al solito, il programma iconografico, aveva fatto sì che la figura di san Pietro non rispettasse precisamente Io schema dell'ubicazione topografica cui si 'alludeva, dato che, a fare da pendant con quella dell'apostolo Giacomo, doveva trovarsi in primo piano, simmetrica a quella.

Non è qui possibile esaminare in dettaglio questa serie di rimandi devozionali e figurativi disposti lungo il <<Cammino italiano di Santiago>>. Se ne possono fare solo cenni episodici. Ad esempio, una situazione meritevole di approfondimento sembra indicare la stessa Roma, la capitale della cristianità dove la presenza di tante chiese di martiri e di apostoli sembrerebbe oscurare il rimando all'Iter compostellanum, anche per ovvi motivi di preminenza. In effetti tale riferimento appare di entità piuttosto modesta, affidato ad una chiesetta dedicata a San Giacomo (San Giacomo in Settignano), eretta durante il Medioevo nella zona degli ospizi riservati ai pellegrini diretti alla basilica di San Pietro, presso l'Isola Tiberina. Un ospizio, con attiguo oratorio (San Giacomo in Augusta), si trovava al di là del Tevere, presso il Mausoleo di Augusto, ed era stato fondato piuttosto tardi, rispetto al fiorire del pellegrinaggio jacopeo: nel 1338, dal cardinale Giovanni Colonna, amico del Petrarca. L'altra chiesa romana dedicata all'apostolo (San Giacomo degli Spagnoli) era stata eretta, nella zona del Pantheon, ancora più tardi, dal vescovo sivigliano Alfonso Paradinas in occasione del giubileo del 1450.

 

 

 

Pistoia e la reliquia di san Giacomo

Fra le moltissime situazioni chiare, dal punto di vista della chiave di lettura che qui è stata fornita, sembra avere particolare interesse quella della città di Pistoia, I'unica ad essere stata ufficialmente accreditata, fin dal 1145, come detentrice e custode di una reliquia del corpo di Giacomo il Maggiore. In questo caso però la situazione si presenta assai complessa e sfumata, per chi abbia avuto occasione di approfondirla un po' più nel dettaglio.

A mio avviso, la rete di <<segni>> allusivi alla vicenda, allo stesso tempo concreta e spirituale, del pellegrinaggio jacopeo si collocò, entro il tessuto urbano pistoiese, con le consuete caratteristiche dei rimandi alle polarità devozionali cui sopra si faceva cenno, ma anche cou un progetto orientato a porre il centro religioso della città come configurazione di luoghi santi disposti a imitazione di quelli presenti nella cattedrale compostellana.

Il secondo aspetto coesisteva col primo, ma in modo non completamente armonico. Io credo che questo progetto sia stato il frutto più maturo di due diverse realtà combinate insieme: quella del trovarsi Pistoia su di un ramo minore della Francigena (la <<via francescana della Sambuca>>, che portava a Bologna, già esistente nell'Alto Medioevo e assai frequentata fino a tutto il Duecento e oltre), e quella del trovarsi ad essere, a metà del secolo XII, essa stessa meta di pellegrinaggio, a causa della reliquia che si asseriva donata dallo stesso arcivescovo compostellano Diego Gelmirez.

La disposizione degli edifici di culto all’interno del nucleo abitativo medievale rivela criteri già a noi noti. Nel quadrante urbano di Sud-Est si trovano (come era lecito aspettarsi) ben tre edifici dedicati a san Pietro: la longobarda chiesetta dei Santi Fiero, Paolo e Anastasio (poi nota solo con l'ultima di queste dedicazioni), la piccola San Pietro in Cappella e infine l'ampia chiesa tardo-romanica di San Pier Maggiore, ricostruzione di un precedente edificio longobardo eretto poco oltre la prima cinta di mura urbane.

Faceva da pendant, con evidente significato allusivo, la chiesa plebana di Sant'Andrea, situata nel quadrante di Nord-Ovest e anch'essa posta fuori dal primo cerchio murario.

Ai due estremi della città, e lungo il percorso urbano transitato da viandanti e pellegrini ditetti a Nord o a Sud, le due figure di apostoli idealmente stavano di fronte l'uno all'altro, come esempi di perfetta sequela di Cristo, essendo stati i suoi primi seguaci.

E il tema del pellegrinaggio non a caso ritornava con una visione ecumenica di cui si giovava anche l’Iter Compostellanum, sull'architrave del portale maggiore di Sant'Andrea, dove erano raffigurati il Viaggio dei Magi dietro la Stella e la loro Adorazione del Bambino Gesù. La <<via di stelle>> tracciava, ancora una volta, il cammino. L’itinerario era indicato dal disporsi opportuno dei «segni» nella città. Le chiese di San Pietro, nel quadrante di Sud-Est, suggerivano la direzione da prendere, attraverso il Montalbano e poi il passo dell'Arno a Fucecchio, per andare a Roma.

Sullo spalto di Nord-Ovest delle mura pistoiesi, la piccola chiesa di San Iacopo dominava il panorama pedecollinare e montano, e le due vie divergenti dirette a Bologna e a Modena. Ricordata in documenti della fine del secolo XII, essa era però più antica, come scavi recenti hanno dimostrato.

Al culto mariano era invece dedicato, con una serie di chiese, l'asse viario che insisteva sul decumanus maximus dell'antico centro romano, asse che tagliava in due, da Nord-Est a Sud-Ovest, l’intera città. La Mater Ecclesia, dunque, era anche visivamente l'asse portante della comunità.

A questo schema coerente di topografia simbolica, del resto non dissimile da quello di altre città italiane, si sovrappose nella seconda metà del secolo XII l'altro, mirante a mutare, con la costituzione di un polo di attrazione centripeta, il tipico carattere di città di transito che aveva Pistoia fin dai primi tempi della sua esistenza. Tale schema nuovo ebbe il suo primo impulso col vescovo Atto (1133-1153), promotore del culto ufficiale di san Giacomo il Maggiore a Pistoia (1144/1145). Egli infatti, trascurando del tutto la pur preesistente chiesa di San lacopo (poi detta “in Castellare”)), fece costruire un apposito luogo di culto, destinato a custodire la reliquia apostolica che si asseriva pervenuta da Compostela, per fare di esso la base in un potere riconquistato dopo una serie di violenti contrasti con il Comune.

Da questo programma nacque la riproposizione dell’antico centro religioso di Pistoia, costituito dalla cattedrale, alla quale fra l’XI e il XII secolo si erano aggiunti il Battistero e il palazzo episcopale, come centro di culto di alta valenza allegorica.

Gli edifici stessi erano parti costituenti di questa allegoria, fondata sulla forza suggestiva del resto del Codex Calixtinus di cui era presente nella città una copia, arrivata nel corso del secolo XII.

Fra la seconda metà del 1100 e i primi decenni del 1200 infatti il palazzo episcopale si saldò con la cattedrale e la Cappella di San Iacopo mediante la Cappella vescovile di San Niccolò, costruita sopra il volume della sagrestia di San Iacopo contigua alla cappella.

Quest' ultima costituì il nuovo centro di culto, l'asse di quel complesso di costruzioni che rappresentavano la stessa autorità della Chiesa.

Una realtà preesistente veniva così ad essere riempita di significati nuovi, riassunta entro un nuovo linguaggio di «segni», più adeguati alla dimensione spirituale del culto jacopeo. Anche Pistoia si presentava

perciò come un microcosmo, dove la vita cristiana “sub specie peregrinationis” si svolgeva, all'ombra del potere vescovile, sotto la tutela di san Giacomo e di san Nicola.

Pistoia dunque dalla metà del secolo XII visse “e rappresentò nell'economia del «Cammino italiano di Santiago» questo duplice ruolo di centro di culto jacopeo e di rimando suggestivo al più grande e importante santuario gagliego. Forse fu proprio questa duplicità a conferire forza suasiva alle immagini figurative, agli arredi e agli oggetti di culto che resero celebre la Cappella e il tesoro di San Iacopo, Fra questi, il principale e il più noto è l’altare argenteo dedicato all'apostolo, patrono della città. Frutto del lavoro, coerentemente coordinato, dei migliori orafi attivi fra il 1287 e il 1456, l'altare acquista significato insieme al raffinato reliquiario che contiene il prezioso patrocinium apostolico, eseguito da Lorenzo Ghiberti e collaboratori nel 1407. Secondo la chiave interpretativa che abbiamo proposto, l'altare argenteo non è solo opera monumentale di oreficeria italiana fra Medioevo e Rinascimento, ma acquista valore, sul piano dei significati, come vera e propria metafora riassuntiva dei termini religiosi di riferimento dell'intero pellegrinaggio europeo. Nello stesso tempo altare, trono, struttura architettonica sacra, esso terminava in alto con un campo d'argento seminato di stelle d'oro e guglie finemente lavorate.

Brillava anche qui la limpida chiarezza di quell'universo concettuale che già prospettava, nell'aereo profilo del compostelano Iter stellarum, la dimensione culturale e religiosa della storia d'Europa.